Paolo Rossi (Prato, 23 settembre 1956) è un dirigente sportivo ed ex calciatore italiano, di ruolo attaccante, dirigente del L.R. Vicenza. Campione del mondo con la nazionale italiana nel 1982.

Soprannominato Pablito, lo si ricorda principalmente per le sue prodezze e per i suoi gol al Mondiale 1982 dove, oltre a vincerlo, si aggiudicò anche il titolo di capocannoniere. Nello stesso anno vinse anche il Pallone d'oro (terzo italiano ad aggiudicarselo). Occupa la 42ª posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata dalla rivista World Soccer. Nel 2004 è stato inserito nel FIFA 100, una lista dei 125 più grandi giocatori viventi, selezionata da Pelé e dalla FIFA in occasione del centenario della federazione. È risultato 12º nell'UEFA Golden Jubilee Poll, un sondaggio online condotto dalla UEFA per celebrare i migliori calciatori d'Europa dei cinquant'anni precedenti.
Insieme a Roberto Baggio e Christian Vieri detiene il record italiano di marcature nei Mondiali a quota 9 gol, ed è stato il primo giocatore (eguagliato dal solo Ronaldo) ad aver vinto nello stesso anno il Mondiale, il titolo di capocannoniere di quest'ultima competizione e il Pallone d'oro.

Importante per la carriera di Rossi fu anche il commissario tecnico dell'Italia, Enzo Bearzot. Il tecnico lo confermò tra i convocati per il campionato del mondo 1978 e fu l'artefice del grande successo del giocatore sul campo. Bearzot, inoltre, fu anche uno dei pochi che credette nell'innocenza di Pablito a seguito dello scandalo scommesse. Nonostante un'opposizione generale, il C.T. decise di convocarlo al campionato del mondo 1982; una chiamata che lo stesso Rossi reputava possibile, conoscendo la stima che Bearzot aveva nei suoi confronti: «La convocazione me l'aspettavo, Bearzot aveva fiducia in me, in Argentina ero andato bene». Al funerale del tecnico, scomparso il 21 dicembre 2010, Rossi lo ricordò con queste parole: «Io a lui devo tutto, senza di lui non avrei fatto quel che ho fatto. Era una persona di una onestà incredibile e un tecnico di grande spessore. Incarnava la figura dell'italiano popolare, e anche se non è stato uno scienziato o un artista, rimarrà nella storia dei nostri grandi del secolo scorso»

Nel 2002 pubblicò la sua autobiografia intitolata Ho fatto piangere il Brasile: «L'ho scritto perché i miei tre gol al Brasile, in quel fantastico, indimenticabile tre a due, sono il fiore all'occhiello della mia vita di calciatore. Un ricordo che non si cancellerebbe neanche a distanza di un milione di anni». Nel 2012 scrisse il libro 1982. Il mio mitico mondiale insieme a sua moglie Federica Cappelletti, giornalista e scrittrice.
Editore: Feltrinelli
Collana: Universale economica
Anno edizione: 2014
Formato: Tascabile
In commercio dal: 7 maggio 2014
Pagine: 252 p., Brossura
EAN: 9788807884269
Rossi spiegò che l'aiuto di sua moglie fu importante per la costruzione del libro: «Mia moglie è stata fondamentale. È lei che ha insistito. Voleva scoprire perché, dopo così tanti anni, la gente mi ferma ancora per strada ricordando l'esperienza spagnola della nostra Nazionale». Rossi riuscì a raccogliere tutti i fatti della sua vita calcistica grazie all'aiuto di un suo amico di Firenze, Renzo Baldacci: «Ha rilegato, in volumi, tutti gli articoli che mi riguardavano. Tutto ciò costituisce la mia memoria storica. Per scrivere il libro abbiamo impiegato sei mesi. Senza l'aiuto di questo prezioso archivio avremmo impiegato anni».
L’Italia ha vinto, il sesto gol di Rossi ha trascinato il nostro Paese nella Leggenda. Ho pianto sugli spalti della tribuna, davanti al re Juan Carlos e agli altri tifosi presenti. Alla faccia delle etichette a ogni gol mi alzavo e mi scatenavo, e alla fine ho urlato: “Non ci prendono più, non ci prendono più”.
Quando arrivammo a Ciampino era un mare di folla. Il giorno dopo li ho portati a mangiare al Quirinale, hanno mangiato come lupi. Da una parte avevo Bearzot, dall’altra Zoff.
È stata una delle gioie più grandi da quando sono presidente.
Sandro Pertini
13 giugno-11 luglio 1982. Sono i ventotto giorni che mi hanno consegnato alla storia, rendendomi immortale e sposando al mio nome uno dei ricordi più cari all’Italia e agli italiani. Li rivivo come se fosse adesso, con lo stesso valzer di emozioni. Con uno stato d’animo altalenante, paragonabile alla realtà di quegli istanti memorabili. Timoroso ma positivo, pronto a qualsiasi sacrificio pur di dimostrare agli altri quanto valessi, e soprattutto intenzionato a dire grazie con i fatti a chi ha creduto in me prima, durante e dopo i due anni devastanti e interminabili di squalifica: Enzo Bearzot. E non l’ha fatto per simpatia, ma perché come nessun altro credeva che prima o poi sarei tornato il Pablito esploso con lui in Argentina nel Mondiale del 1978.
“Bearzot resiste a chi vuole fuori squadra un Rossi ancora disorientato dalla lunga inattività ed aspetta, sicuro lui solo, che prima o poi Rossi, rinfrancandosi, lo ripagherà di quel legame, che evidentemente non è fatto di cieca ostinazione ma di consapevole ragionamento e di radicata fiducia.”
Gino Palumbo, “Gazzetta dello Sport”, 1982
Antonello Venditti citò un "Paolo Rossi" nella canzone Giulio Cesare: «era l'anno dei Mondiali quelli del '66, Paolo Rossi era un ragazzo come noi».
La cultura di massa coglie generalmente il riferimento come all'attaccante italiano, ma Venditti precisò successivamente che si trattava di uno studente antifascista: «In 'Giulio Cesare' faccio riferimento a Paolo Rossi, ma non è l'eroe del Mundial di Spagna come in molti pensano ed hanno pensato. Io ricordavo uno studente morto negli scontri tra studenti e polizia a Roma nel 1966. 'Un ragazzo come me', appunto». Anche Stefano Rosso lo cita in una sua canzone, L'italiano: «ma la domenica problemi grossi, segna Giordano o segna Paolo Rossi?».
A Bearzot non interessava troppo convocare i giocatori più bravi, se questi non avevano anche i requisiti morali per vestire la maglia azzurra, e per fare parte di quel gruppo. Bearzot non ha convocato dei giocatori [...] per paura si potessero creare dei dualismi, come era già capitato nelle nazionali precedenti [...]. Voleva costruire un gruppo coeso, in cui tutti si vogliono bene e remano dalla stessa parte.
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